Cos’è l’alopecia androgenetica?
L’alopecia androgenetica è di gran lunga la più diffusa causa di perdita dei capelli.
Una causa certa dell’alopecia androgenetica è la sovrabbondante presenza di deidrotestosterone (o diidrotestosterone, in sigla DHT) nel follicolo del capello. Il DHT risulta altamente dannoso per il follicolo: opera dapprima accorciando la fase di crescita del capello, poi provocando una progressiva miniaturizzazione del follicolo (che produrrà quindi un capello sempre più stento), fino ad arrivare all’atrofia completa e quindi alla cessazione di ogni attività produttiva.
Il DHT, è il prodotto della trasformazione degli ormoni androgeni per effetto dell’enzima 5-alfa-reduttasi.
L’ormone androgeno per eccellenza è il testosterone, un ormone prettamente maschile, ma presente anche nelle donne. Nell’uomo il testosterone viene secreto soprattutto dalle cellule interstiziali dei testicoli (mg. 8 al giorno ca.), mentre nelle donne la secrezione di ormoni androgeni è di minore entità e proviene dalle ovaie e dal corticosurrene.
La trasformazione degli ormoni androgeni in DHT avviene direttamente nella ghiandola sebacea dei follicoli predisposti e non a carico di una certa zona di cute; la dimostrazione è data dal fatto che trapiantando capelli non predisposti a calvizie (presenti nelle aree laterali e posteriori del capo nei maschi) in zone dove erano ospitati capelli colpiti da alopecia androgenetica, l’attività pilifera dei capelli trapiantati continua per tutta la vita.
Oltre alla presenza del DHT altre cause sembrano comunque interessare il processo di alopecia androgenetica.
Da più parti è stata avanzata la corresponsabilità dei fattori immunologici: una volta che il processo alopecico è iniziato ad opera del DHT il sistema immunitario attaccherebbe i follicoli interessati, impedendo la corretta produzione del capello.
Un altro campo su cui la ricerca sta cercando di porre rimedio è sulla diversa ricettività, riscontrata da diversi studiosi, di alcuni follicoli ai messaggi chimici del sistema biologico che regolano il ciclo pilifero.
Alopecia androgenetica, alopecia seborroica, calvizie comune, calvizie ereditaria, calvizie maschile….
Si tratta di sinonimi: la definizione più corretta ed utilizzata è però alopecia o calvizie androgenetica.Si è a lungo definita alopecia seborroica perché si accompagna frequentemente ad un’elevata secrezione sebacea. Gli studiosi hanno via via abbandonato questa definizione dopo aver provato che il sebo non è la causa della calvizie androgenetica, ma solo un fenomeno associato, peraltro non sempre presente.
Il termine “ereditaria” sottolinea che viene colpito da questo tipo di alopecia solo chi presenta nel proprio patrimonio genetico questa predisposizione, che può essere trasmessa, con uguale probabilità, sia dal ramo paterno che da quello materno. E’ inesatto definirla calvizie maschile in quanto ne soffrono sia gli uomini che le donne (vedi domanda seguente): si può usare il termine calvizie androgenetica maschile per distinguerne il disegno tipico (arretramento delle tempie, calvizie del vertice) da quella androgenetica femminile caratterizzata da uno sfoltimento diffuso di tutto il cuoio capelluto.
Alopecia androgenetica: maschile o femminile?
Affligge circa l’80% degli uomini, ma anche il 35% delle donne in età fertile e ben il 50% di quelle in menopausa.
Gli uomini calvi sono più virili?
Molti ritengono che sia la quantità di testosterone totale prodotto la causa della calvizie e questa errata convinzione ha generato una serie di credenze fra cui quella che attribuisce ai calvi un maggior vigore sessuale. Si tratta di un falso perché è solo il deidrotestosterone (DHT) presente in ogni singolo follicolo e non la quantità di testosterone totale a innescare il processo alopecico. Prova ne è il fatto che donne con bassissimo livello di testosterone ma predisposte all’alopecia androgenetica, se non mettono in atto cure adeguate, vanno incontro a calvizie o sfoltimento.
A che età può svilupparsi l’alopecia androgenetica?
Nell’uomo molto presto: subito dopo la pubertà e la maturazione sessuale e non sono infrequenti casi già molto compromessi attorno ai 18-20 anni. Il fenomeno ha il suo picco tra i 20 e i 30 anni, progredisce fino ai 40-50 e poi rallenta o si ferma.
Anche nelle donne si può manifestare in giovane età, a partire dai 16-20 anni per quelle in età fertile, con una progressione lenta ma costante fino ai 45-50 anni. Quando subentra la menopausa anche la donna che non aveva mai sofferto di questo disturbo può andare incontro a calvizie androgenetica molto pronunciata e quelle donne che già manifestavano dei problemi vedono una recrudescenza del fenomeno.
In quali zone si presenta l’alopecia androgenetica?
Nei maschi i primi segni si presentano nei cosiddetti golfi o anse frontali (impropriamente definite stempiature) per poi colpire anche la zona apicale della testa. In seguito il fenomeno si trasferisce anche nell’area centrale “collegando” fronte e nuca.
Nelle donne è più frequente invece uno sfoltimento della zona centrale, mentre almeno inizialmente, la zona frontale è meno interessata.
Come si presenta l’alopecia androgenetica?
Di solito NON si presenta con un considerevole aumento del numero dei capelli che cadono e, anzi, molti soggetti diventano calvi perdendo pochissimi capelli al giorno.
Il primo segno dell’avvento di una calvizie è l’assottigliamento progressivo dello stelo, inizialmente non apprezzabile ad occhio nudo, poi sempre più palese.
Altri sintomi sono una maggiore probabilità da parte degli steli di spezzarsi, un aspetto meno brillante della chioma ed una più difficile pettinabilità e tenuta della piega.
Sono sintomi poco evidenti e, poiché non provocano variazioni consistenti dell’aspetto, molti sono portati a sottovalutarli, cullandosi nella speranza che prima o poi tutto tornerà come prima.
Si tratta di un grave errore, perché l’efficacia delle cure è strettamente legata alla tempestività di intervento: laddove c’erano capelli perduti molti anni prima, infatti, ci sono matrici che è difficile o impossibile recuperare.
Tutti i soggetti che presentano casi di ascendenti affetti da alopecia androgenetica (non solo padre e madre, ma anche zii paterni e materni e nonni) dovrebbero far valutare il proprio caso con un check-up che comprenda almeno il tricogramma intorno ai 18-20 anni anche se ancora non si sono evidenziati particolari problemi.
Il nonno è calvo, lo zio no, il papà in parte … e io? La predisposizione è una condanna?
Non sempre chi ha il padre calvo è destinato ad identico destino in quanto non siamo suoi cloni ma cocktail di patrimoni genetici.
Se però qualcuno degli ascendenti (genitori o nonni) ha “trasmesso” il gene dell’alopecia il destino è (quasi) ineluttabile. Quel “quasi” fra parentesi è dovuto al fatto che ogni persona possiede due esemplari dello stesso gene, provenienti uno dal padre e l’altro dalla madre. La combinazione che si realizza è spesso imprevedibile come è ampiamente dimostrato dall’alto numero di figli calvi con padri con chioma folta e viceversa.
Naturalmente se la predisposizione inizia a manifestarsi c’è un unico modo per impedire che la calvizie si manifesti: una cura iniziata ai primissimi sintomi del fenomeno.
E’ opinione diffusa che una malattia ereditaria non si possa curare, ma la medicina, per nostra fortuna, è in grado di curare malattie geneticamente trasmesse di gravità ben peggiore della calvizie. Alcuni esempi? L’emofilia A, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione arteriosa essenziale, l’ulcera gastrica e il diabete mellito che possono essere tenute sotto controllo con terapie specifiche che consentono a chi ne soffre di vivere bene.
Un’alopecia androgenetica curata adeguatamente può essere inibita con la conseguente sensibile riduzione delle possibilità di diventare calvi.
Perchè in alcune zone si perdono i capelli ed in altre no?
Nel maschio la calvizie androgenetica risparmia le zone laterali e posteriori del capo, mentre nelle donne il fenomeno può interessare tutto il cuoio capelluto pur senza giungere mai ad una completa scomparsa dei capelli.
La ragione non va ricercata nella diversa costituzione della pelle, ma nella particolare recettorialità dei singoli follicoli piliferi. In alcuni di questi, geneticamente predisposti, scatta un meccanismo che innesca il processo alopecico, in altri no.
La prova pratica ci viene dall’autotrapianto: i follicoli piliferi geneticamente NON predisposti che vengono trasferiti nelle aree in cui sono (o erano) presenti capelli “malati” continuano a vivere per tutta la vita, dimostrando una volta di più che non si trova nella cute la causa della morte del capello, ma all’interno del suo follicolo.
Si può curare l’alopecia androgenetica? Quali i risultati?
In un numero sempre maggiore di casi la risposta è si.
Chi afferma il contrario lo fa perché ignora l’esistenza di principi che hanno dimostrato di essere efficaci o perché mosso da evidenti interessi commerciali.
Certo chi pretende di curarsi con una pillola presa una volta a settimana, o con una decina di fialette due volte l’anno, è meglio che si rassegni al diradamento e alla calvizie.
Almeno nelle prime fasi, le cure contro l’alopecia androgenetica richiedono una certa costanza con, ad esempio, applicazioni locali e/o assunzioni di preparati per bocca giornalmente. Quando il fenomeno è sotto controllo si può invece ampliare l’intervallo tra un’applicazione e l’altra a 2-3 giorni. Questi “intervalli” tra le applicazioni sono portati solo ad esempio: ogni persona è un caso a sé e pertanto la terapia va modulata all’inizio secondo le peculiari caratteristiche e, nel corso della cura, secondo la responsività soggettiva.
Diversi sono gli scopi perseguibili di una cura per l’alopecia androgenetica:
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- Notevole rallentamento del fenomeno
- Arresto della caduta
- Ricrescita di nuovi capelli
Solo per fare un esempio dei risultati che oggi si possono ottenere, studi molto recenti hanno dimostrato che il trattamento con una sola delle sostanze attualmente in uso induce il mantenimento della chioma presente all’inizio della cura nel 32% dei soggetti, un arresto della caduta e la ricomparsa di qualche capello nel 22% dei casi e la ricrescita vera e propria di capelli nel 40%.
Le cure dell’alopecia androgenetica
Prima di curare è necessario stabilire se non si ha a che fare con qualcosa di diverso, come ad esempio un telogen effluvio o un’ alopecia areata, perciò è spesso utile eseguire un tricogramma.
Se il responso è chiaramente orientato verso la calvizie androgenetica (Cos’è la calvizie androgenetica) diventa opportuno il ricorso ad alcuni principi attivi. Ecco una lista (non esaustiva) dei più utilizzati:
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- Minoxidil
- Super Ossido Dismutasi
- Tretinoina o acido transretinoico
- Acido azelaico
- Finasteride
- Serenoa Repens
- Zinco e vitamina B6
- Arginina e Cisteina
- Camellia Sinesis
- Ciproterone acetato
- Progesterone
- Spironolattone
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Minoxidil: è forse la molecola più conosciuta con effetti sull’alopecia androgenetica. La scoperta della sua efficacia è stata casuale in quanto diversi pazienti affetti da ipertensione e trattati con questo farmaco per via orale, manifestavano una certa ricrescita di capelli. Ha dimostrato di essere in grado di arrestare la caduta in un buon numero di casi, e di promuovere, con minor frequenza, anche una certa ricrescita.
Sembra avere una maggiore efficacia sul vertice, mentre sembra essere meno attivo sulla zona fronto-temporale. Come prodotto tricologico si preferisce somministrarlo per via locale sotto forma di lozione, con diverse percentuali di principio attivo (tipicamente dal 2 fino al 5%). Sempre maggiori sono gli specialisti che associano al Minoxidil, a volte nella stessa preparazione galenica, altri principi attivi.
E’ un farmaco e come tale ha alcuni effetti collaterali che vanno tenuti presenti.
Non è ancora perfettamente chiaro (dopo 15 anni d’uso!) il meccanismo di azione: senza dubbio NON è l’incremento della circolazione sanguigna locale (altri vasodilatatori assai più potenti non hanno alcun effetto anti-calvizie), ma probabilmente agisce sulla regolazione dei cicli biologici, aprendo a livello del follicolo i canali del potassio, regolatori di una serie di processi cellulari. Non è stato riscontrato effetto d’inibizione alla formazione del Deidrotestosterone.
Super Ossido Dismutasi: composti, detti anche SOD, che sembra abbiano la capacità di prolungare la durata della fase di crescita o Anagen dei capelli, similmente al Minoxidil. Si applica localmente, anche se già da tempo viene usato in integratori, da assumere per via orale, come anti-ossidante. Probabilmente l’efficacia è dovuta al fatto che impedisce che arrivi al follicolo il messaggio biologico di interruzione del ciclo pilifero: pertanto il capello non entra in fase telogen e continua a vivere. Sono già molto avanzati gli studi clinici per dimostrare l’attività della molecola, che non sembra avere effetti sul Deidrotestosterone.
Tretinoina o acido transretinoico: viene usato da molti anni nel trattamento di diversi problemi della cute e soprattutto per l’acne. Ha dimostrato di essere un efficace stimolante nella crescita dei capelli soprattutto se associato al Minoxidil, migliorandone la penetrazione percutanea. Particolare attenzione va posta alla concentrazione in quanto la tollerabilità non è sempre ottimale; proprio per il noto effetto di peeling chimico può produrre problemi di eccessiva esfoliazione.
Acido Azelaico: noto come antiacne ha dimostrato di inibire localmente la trasformazione del Testosterone in Deidrotestosterone; è da poco considerato come principio anti-calvizie, ma sembra che i risultati siano molto incoraggianti. Ben si sposa all’associazione con altri principi attivi.
Finasteride: anche in questo caso si tratta di una molecola nata per altri scopi ed in particolare per la cura dell’ipertrofia della prostata. Individuata piuttosto recentemente come anticalvizie pare possa fornire risultati molto interessanti, perché agisce sulla causa prima della calvizie androgenetica: la formazione di deidrotestosterone . Fino ad ora viene somministrata per via generale (compresse e capsule) anche se si stanno testando somministrazioni locali sotto forma di lozione. Negli Stati Uniti viene indicato come farmaco concesso solo agli uomini: nelle donne vengono ritenuti troppo alti i rischi di malformazione del feto in caso di concepimento. A volte risulta sgradito ai pazienti maschi per la presenza di possibili effetti collaterali (temporanei) nella sfera sessuale (dalla diminuzione della libido, alla riduzione del volume di eiaculato, all’impotenza).
Serenoa Repens: si tratta di una pianta nota anche come Palmetto della Florida. Dalle bacche si ottiene un preparato che ha un’attività antiandrogena perché capace di ridurre la produzione del deidrotestosterone. Agisce per via generale ed il suo effetto è simile a quello della finasteride; pur avendo nel mondo una certa diffusione (minima però in Italia) non esistono ancora studi scientifici sul suo effetto anticalvizie, mentre esistono da tempo in commercio farmaci e integratori a base di serenoa repens per il trattamento e la prevenzione dell’ipertrofia prostatica.
Zinco e vitamina B6: studiando l’effetto dello zinco applicato localmente si è osservato che inibisce la produzione del deidrotestosterone. L’associazione della vitamina B6 potenzia questo effetto anti-DHT (sembra che la vitamina B6 abbia anche da sola effetti antiandrogeni). Viene utilizzato anche per via generale, in associazione con la vitamina B6, per ridurre la circolazione di DHT.
Arginina e cisteina: sono due aminoacidi usati per il trattamento dell’alopecia androgenetica; sembra non abbiano effetti anti-DHT, ma agiscono l’arginina come stimolatore dell’attività di crescita e la cisteina come nutriente necessario alla formazione e sviluppo del capello.
Camellia Sinesis: è un principio naturale noto anche come estratto di The Verde. Ha un effetto provato di antiossidante, efficace contro i radicali liberi, corresponsabili dell’invecchiamento della pelle e degli annessi cutanei tra cui i follicoli capilliferi. Recentemente alcuni hanno osservato anche un effetto antiandrogeno (in particolare inibirebbe la formazione del deidrotestosterone), che comunque non è stato ancora scientificamente dimostrato.
Ketoconazolo: svolge un’attività antiandrogena topica benchÈ il suo utilizzo pi frequente riguardi il trattamento della dermatite seborroica. Non esistono ancora dati sufficienti in ordine al dosaggio ottimale da utilizzare per un effetto anticalvizie.
Ciprocetone acetato: uno dei pi efficaci antiandrogeni. Per via generale viene usato solo nel trattamento del fenomeno nelle donne. Non ancora chiaro l’effetto sull’alopecia androgenetica: in alcuni casi è molto efficace, in altri non ha alcun effetto. Viene usato anche in forma locale nella preparazione di lozioni galeniche, insieme ad altri principi.
Progesterone: è un estrogeno con un certo effetto anticalvizie ed è stato uno dei primi farmaci con risultati scientificamente dimostrati; usato anche come antiseborrea sotto forma di lozione, viene spesso associato ad altre sostanze in preparazioni topiche anticalvizie.
Spironolattone: è una sostanza antiandrogena estremamente potente. Negli uomini può essere usato solo localmente per i forti effetti femminilizzanti, nelle donne è comunemente usato anche per via generale.
Le terapie complementari nella cura dell’alopecia androgenetica
Tra le più utilizzate citiamo:
– la ionoforesi: serve solo per veicolare nella cute sostanze attive utilizzando un campo elettrico creato fra un polo negativo ed uno positivo. La scientificità della terapia è nota, ma può provocare irritazioni del cuoio capelluto;
– la mesoterapia: come il caso precedente, è solo un modo per veicolare le sostanze curative. Nella mesoterapia si iniettano direttamente i principi attivi nel cuoio capelluto con una siringa (mono-ago o multi-ago), utilizzando tecniche particolari diverse dalla semplice iniezione. La sua validità dipende dal tipo di sostanze utilizzate che, spesso, possono costituire un utile ausilio alla terapia principale;
– la laserterapia: non influenza la trasformazione locale del testosterone in DHT, ma ha una azione normalizzante e stimolante il microcircolo e le funzioni intra/extracellulari. Inoltre, esplica una potente azione antinfiammatoria: questa, alla luce di recenti studi, potrebbe risultare benefica nell’impedire o ridurre la fibrosi (e il successivo danneggiamento) dei follicoli in casi di alopecia androgenetica, specie se associata ad ipersecrezione sebacea con reazioni infiammatorie.
– la vacuum-terapia provoca un netto aumento del flusso sanguigno sulla superficie cutanea; ciò non ha effetti sull’alopecia androgenetica, ma potrebbe avere benefici sull’assorbimento dei principi attivi.
Le cure funzionano sempre?
Nemmeno la comunissima aspirina o i migliori antibiotici sono efficaci nel 100% dei casi.
A maggior ragione quando si parla di calvizie androgenetica, dove la manifestazione assume caratteri assai diversi da persona a persona: va detto chiaramente che non esiste un prodotto o un protocollo terapeutico valido per tutti, o comunque migliore in assoluto.
E’ ampiamente dimostrato che nell’alopecia androgenetica l’uso combinato di pi principi attivi offre risultati ben superiori alla semplice somma dei loro benefici. Solo un curante attento ed esperto può, caso per caso, indicare il “cocktail” adatto, variandolo, se necessario anche pi volte, nel corso della terapia.
Studi recenti (1995-1997) su un ampio campione di uomini hanno dimostrato che i risultati delle recenti terapie contro la calvizie androgenetica possono essere definiti soddisfacenti in pi del 90% dei casi (in alcuni casi si è addirittura misurata una ricrescita di venti nuovi capelli per centimetro quadro dopo un anno di cura).
Va tuttavia ricordato che rifarsi semplicemente alle percentuali di successo non è corretto, dato che nei gruppi di studio sono presenti casi con diversi stadi di “gravità” del fenomeno calvizie: basti pensare all’età del paziente o al momento in cui si inizia la cura rispetto ai primi sintomi, solo per fare due esempi.
E’ facile intuire che se isoliamo solo pazienti di 20-25 anni, che iniziano a curarsi ai primi sintomi, la percentuale di “risultato soddisfacente” sarà prossima al 100%, con svariati casi di un’elevata ricrescita di nuovi capelli; al contrario se isoliamo pazienti di 40-45 con calvizie androgenetica non curata da anni i risultati saranno decisamente meno entusiasmanti.
Sinteticamente si può concludere che esiste una relazione inversa fra “vecchiaia della calvizie” e entità dei risultati: un motivo in pi per sottoporsi ad un controllo al primo sospetto.
Inoltre, come per tutte le cure, giocano un ruolo importante la ricettività soggettiva e la compliance del paziente (ovvero la costanza e puntualità nel seguire la terapia).
Come NON SI CURA l’alopecia androgenetica
Sarebbe facile rispondere: con tutto quanto non riportato nelle risposte precedenti.
Vediamo analiticamente cosa non serve, o serve a poco, o serve solo se associato ad altro
– gli shampoo anticaduta: non è mai stato provato che uno shampoo possa avere un effetto anticaduta; uno shampoo di buona qualità è importante come coadiuvante di una cura anticaduta (locale e/o generale), ma da solo non ha alcuna utilità in tal senso;
– gli integratori vitaminici o proteici o quant’altro: in quanto l’alopecia androgenetica non è causata da carenze nutrizionali. Sono però spesso utili per potenziare la terapia primaria o in presenza di altri tipi di caduta;
– la lozione o le capsule usate dall’amico: potrebbero non essere adatte perché se l’amico soffriva di una diversa tipologia di caduta si corre il rischio di perdere solo tempo e altri capelli;
– il prodotto pi pubblicizzato del momento perché non può essere efficace per ogni tipo di alopecia e perciò potrebbe essere inefficace o addirittura dannoso;
– insistendo per molto tempo con il medesimo prodotto: per il noto fenomeno dell’assuefazione è bene affidarsi ad un curante esperto che lo sappia prevenire, e non intestardirsi solo perché all’inizio aveva dato dei risultati;
– i prodotti a base di cheratina: non hanno alcun effetto sull’alopecia androgenetica e effetti dubbi sugli altri tipi di caduta;
– il prodotto a base di erbe perché se è vero che difficilmente fa male è anche vero che nessun prodotto erboristico ha dimostrato scientificamente di essere in grado, da solo, di intervenire nei meccanismi che causano l’alopecia androgenetica; i prodotti naturali possono essere molto utili se inseriti in una cura articolata;
– massaggiare continuamente il cuoio capelluto è inutile perché non è la circolazione carente la causa dell’alopecia androgenetica: è pur vero che un buon massaggio può migliorare l’assorbimento dei prodotti terapeutici applicati localmente;
– usare massaggiatori meccanici o elettrici per il motivo detto sopra.
IL FUTURO
Nuove molecole anticalvizie.
Come in ogni campo della ricerca scientifica sono allo studio in tutto il mondo, Italia compresa, nuovi trattamenti per la calvizie androgenetica.
Al momento non siamo in grado di dire se saranno pi efficaci di quelli attuali.
Una cosa è certa però: la ricerca è attualmente al lavoro su ulteriori TRATTAMENTI dell’alopecia androgenetica, cioè su principi attivi (per via locale o per via generale) che contrastino i meccanismi e gli effetti dell’alopecia androgenetica, ma nessuno è ancora stato in grado di muovere il primo passo verso una CURA dell’alopecia androgenetica, possibile solo cambiando le proprietà genetiche dei follicoli.
La terapia genica.
Inviando messaggi ad hoc al DNA delle cellule coinvolte potrebbe essere possibile non solo arrestare il processo di caduta, ma anche indurre la ricrescita dei capelli caduti da tempo. Sempre con questa terapia potrebbe essere possibile inibire anche l’incanutimento, rendendo inutile il ricorso alle tinture.
Purtroppo ad oggi la terapia genica rappresenta uno scenario di fantasia, e pur ipotizzandolo possibile, lo sarebbe a lungo termine (realisticamente non prima di 15-20 anni). Solo recentemente (la divulgazione è del gennaio 1998) è stato scoperto negli USA il gene (“hairless gene”) dell’alopecia universale (totale mancanza di peli e capelli in tutto il corpo) e si sta attualmente studiando se questa scoperta possa interessare anche chi soffre di alopecia androgenetica o di altre forme di perdita di capelli.
Capelli coltivati, capelli clonati.
La notizia è stata riportata da molti giornali e televisioni e presentata come la soluzione di tutti i problemi dai capelli.
Prelevando un solo bulbo capillifero e, dopo opportuni processi, “coltivandolo” in un terreno biologico adatto si sarebbero dovuti ottenere altri capelli da reinnestare poi nelle aree sfoltite.
Come spesso accade la notizia è stata data in modo troppo semplicistico perché è vero che per un mese il bulbo “clonato” ha continuato a vivere, ma è purtroppo vero anche che, dopo questo mese di attività, la produzione si è interrotta in modo definitivo. Comunque, anche se si riuscissero a “clonare” dei bulbi questi potrebbero essere innestati nel cuoio capelluto solo con un intervento di micro-trapianto; pertanto questa metodica andrebbe considerata come una possibile evoluzione (non prima di 10-15 anni) del micro-autotrapianto e non un nuovo tipo di cura della calvizie.