PRP nell’Autotrapianto di capelli ed in hair restoration
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PRP nell’Autotrapianto di capelli ed in hair restoration

PRP nell’autotrapianto di capelli ed in hair restoration
Franco Buttafarro
Torino

 

Introduzione

Nell’ultimo decennio l’interesse per l’utilizzo di emoderivati ed emocomponenti, per lo piu’ autologhi, con finalita’ diverse da quelle classiche di solo supporto trasfusionale, ha subito un deciso incremento di studi e di applicazioni specie nel campo delle indicazioni topiche per incrementare e stimolare la crescita tessutale e la riparazione delle ferite.
Nello stesso tempo l’utilizzo di sostanze derivate dal sangue umano autologo si e’ rapidamente allargato alle piu’ svariate applicazioni cliniche e a molti ambiti specialisti, anche molto diversi tra di loro, in funzione del possibile effetto terapeutico delle cellule ematiche e dei fattori di derivazione plasmatica, nelle piu’ svariate patologie.
La rigenerazione dei tessuti e la riparazione delle ferite si basano su di un processo complesso in cui sono coinvolti diversi tipi cellulari, fattori di crescita ed altre proteine che interagendo le une con le altre possono portare ad una rapida ed efficiente riparazione tessutale.
Gia’da molti anni lo studio approfondito delle piastrine, molto al di la della loro funzione piu’ conosciuta nel processo di coagulazione e di emostasi, si e’ allargato rapidamente ai mediatori biologici in esse contenute, a quei fattori di crescita che giocano un ruolo di primo piano nel processo rigenerativo e ripartivo aumentando in modo significativo la versatilita’ e le possibili applicazioni terapeutiche di una nuova tecnologia che nasce con il nome di PRP (Plasma Ricco in Piastrine) un nome evocativo del loro potenziale uso in molte specialita’. Dagli studi del dottor Eduardo Anitua, che da oltre 20 anni si interessa di questo campo di ricerca, emerge che sono stati fatti molti progressi riguardo ai fattori di crescita estratti dal plasma e dalle piastrine di sangue autologo. Tra le altre, la scoperta fondamentale del ruolo che citochine e fattori di crescita giocano nel processo ripartivo e rigenerativo, ha incrementato le ricerche in medicina rigenerativa e nella ingegnerizzazione dei tessuti. Queste molecole, infatti, inviano segnali alle regioni lesionate regolando i meccanismi e le sequenze metaboliche che governano la rigenerazione e la guarigione delle ferite. La scoperta che le piastrine hanno riserve endogene di centinaia di proteine biologicamente attive e che il fibrinogeno, plasma derivato, puo’ essere facilmente trasformato in ponti tridimensionali di fibrina, ha aperto la strada all’uso del plasma e dei derivati piastrinici in molti diversi campi della medicina e della chirurgia e negli ultimi anni anche in chirurgia della calvizie ed in hair restoration.
Ma cosa sono le piastrine e cosa fanno: un po’ di storia…
La descrizione di particelle piu’ piccole degli eritrociti e dei leucociti e’ datata alla fine del 1700. Ma solo tra il 1865 ed il 1877 questi corpuscoli sono stati descritti chiaramente senza che tuttavia fossero chiare le origini, il significato, le funzioni.

 

 

Nel 1675 Van Leewenhoeck (fig. 1) fece la prima comunicazione alla Royal Society of London. Ma probabilmente il primo che descrisse le piastrine come “small blood corpuscles” (piccole particelle indefinite nel sangue) fu nel 1870 William Hewson (fig. 2).

 

 

In seguito, anche se qualcuno, pretestuosamente, attribuisce al tedesco Max Shultze (fig. 3) la prima descrizione delle piastrine, noi sappiamo che lo stesso Shultze aveva erroneamente considerato le piastrine come il prodotto della disintegrazione dei leucociti.

 

 

Tuttavia godendo di grande considerazione, le sue teorie influenzarono molti studi successivi.

 

 

Fu Giulio Bizzozzero (fig. 4) ad identificare gli “small blood corpuscles” come terzo elemento morfologico del sangue, indipendente da globuli rossi e globuli bianchi, riconoscendo anche il ruolo fondamentale nell’emostasi e nella trombosi, chiamandole piastrine. Tuttavia il significato nella coagulazione era ancora largamente incompleto. Infatti, anche se Bizzozzero aveva identificato la trombina ed il fibrinogeno, tuttavia le loro funzioni non erano ancora state descritte.

 

 

In seguito la protrombina fu scoperta da Cornelius Pekelharin (fig. 5) nel 1892, il ruolo del calcio da Arthus nel 1890 ed il classico schema della coagulazione fu descritto da Paul Morawitz (fig. 6) nel 1905.

 

 

Ma solo nel 1910 furono identificati, dal midollo osseo, i megacariociti ossia i precursori delle piastrine, da J. H. Wright. Dopo Bizzozzero e la scoperta dei megacariociti da parte di Wright, fino al 1960 molti progressi furono fatti nella conoscenza della biochimica e della fisiopatologia delle piastrine. In seguito si precisarono le proprieta’ delle piastrine con Paul Morawitz. nella formazione del coagulo e nella produzione e rilascio di molti fattori di crescita.

Caratteristiche delle piastrine
Sono prodotte dal midollo osseo, sono presenti in un numero oscillante fra 150.000 e 400.000 per mm cubo ed hanno una vita media di 10 giorni. Sono prive di nucleo in quanto derivanti dai frammenti citoplasmatici del megacariocita, cellula ematopoietica per le piastrine, si presentano in forma tondeggiante od ovalare ed hanno una dimensione tra 2 e 4 micrometri (fig. 7).

 

 

Al microscopio ottico presentano due zone distinte: una centrale granulare ed una periferica quasi ialina. Morfologicamente nella piastrina sono rilevabili granuli suddivisi in tre tipi:
– Granuli alfa, molto numerosi, contengono il fattore quarto piastrinico, la trombospondina, proteine di adesione (fibrinogeno, fibronectina…), numerosi fattori di crescita, fattori della coagulazione e della fibirinolisi plasmatica.
– Granuli densi contenenti serotonina, istamina, adrenalina, ioni calcio e fosforo, ADP e ATP.
– Granuli lambda contenenti idrolasi lisosomiali e perossisomi, fosfatasi acida, arisolfatasi, catepsina e galottidasi.
Le piastrine sono specializzate nel processo di coagulazione del sangue. Tale processo avviene perche’ il fibrinogeno presente viene attivato e trasformato in fibrina grazie all’azione della trombina. Quest’ultima e’ un enzima che viene attivato dalla protrombina, richiamata a sua volta da fattori plasmatici. L’intreccio dei filamenti di fibrina trattiene le piastrine, globuli rossi e leucociti e con la contrazione delle piastrine, successivamente ad un rilascio massiccio di fattori tessutali, vi e’ la retrazione del coagulo e conseguente spremitura del siero (fig. 8).

 

 

Successivamente interverra’, nella lisi del coagulo, la plasmina attivata a sua volta dal plasminogeno. Ma si sono scoperte molte altre proprieta’ oltre a quella di rispondere prontamente alle lesioni sanguinanti. Ogni piastrina e’ anche un deposito di molteplici segnali di regolazione della produzione dei fattori di crescita, ossia di molecole che partecipano al recupero ed alla guarigione dei tessuti in risposta ad un insulto patologico o traumatico.
Le piastrine attivate contengono una ampia gamma di fattori di crescita
PDGF: platelet derived growth factor (promuovono la crescita dei vasi sanguigni, la replicazione cellulare, la riparazione cutanea).
VEGF: vascular endothelial growth factor (promuovono la formazione di vasi sanguigni).
EGF: epidermal growth factor (promuovono la crescita e la differenziazione cellulare).
TGF-b: transforming growth factor b (promuovono la crescita della matrice intercellulare, il metabolismo dell’osso).
FGF-2: fibroblast growth factor-2 (promuovono la crescita e la specializzazione cellulare e la formazione di vasi).
IGF: insulin-like growth factor ( regolatore dei normali processi fisiologici di quasi tutti i tipi di cellule dell’organismo).

I fattori di crescita
Tutti questi fattori di crescita iniziano ed amplificano i processi fisiologici contribuendo alla riparazione dei tessuti ed alla guarigione dopo una lesione. Il concetto e’ quello di apportare a livello di una ferita un idoneo microambiente ricco di segnali per le cellule, cioe’ di fattori di crescita che potenzino i processi di rigenerazione dei tessuti mesenchimali. I fattori di crescita naturalmente contenuti nelle piastrine agiscono a livello locale favorendo la replicazione cellulare la produzione di nuovi vasi sanguigni e la formazione di nuova matrice extracellulare.
PrP il razionale
Il razionale dell’uso del PRP in chirurgia ed in medicina rigenerativa e’ di incrementare artificialmente il numero delle piastrine in modo che il parallelo incremento dei fattori di crescita nelle piastrine possono essere usati per accelerare la guarigione dei tessuti fino alla riparazione ed al ripristino dello stato di salute.
Cosa pensiamo che sia il PRP?
Il PRP e’ costituito da plasma sanguigno con una concentrazione di piastrine molto piu’ alta di quella che si riscontra nel sangue non trattato. Il PRP e’ una sostanza naturale, di derivazione umana e soprattutto e’ autologa provenendo dallo stesso paziente che poi la utilizzera’ e quindi non esistono possibili effetti collaterali, allergie o reazioni immunologiche da corpo estraneo. Allo stesso modo oggi, nella programmazione di un intervento chirurgico importante si preferisce prelevare una certa quantita’  di sangue al paziente stesso per poterlo usare, al bisogno, nel corso dell’intervento stesso. In questo modo si evita di usare sangue di un donatore proveniente da una banca del sangue. Naturalmente bisogna evidenziare la criticita’ delle varie preparazioni che ci vengono proposte. Infatti i dati che abbiamo finora a disposizione ci suggeriscono che concentrazioni troppo elevate di piastrine e, di conseguenza, di fattori di crescita, possano avere effetti nulli o addirittura controproducenti nel processo di riparazione e di guarigione. Dagli studi che sono stati fatti a proposito, emerge che probabilmente una concentrazione di 1,25 – 1,5 x 106 di piastrine per microlitro possa rappresentare la concentrazione ideale. Concentrazioni poco piu’ basse o poco piu’ alte sarebbero ancora molto efficaci. Valori molto diversi potrebbero essere inefficaci.
Il PRP in sintesi
_ e’ un preparato autologo
_ Immunologicamente neutro
_ e’ privo di tossicita’
_ Stimola i processi riparativi e la crescita dei tessuti
_ Stimola la proliferazione cellulare
_ Stimola l’angiogenesi e la rivascolarizzazione
_ Stimola la proliferazione delle cellule mesenchimali
_ Stimola la produzione dei fibroblasti
_ Accelera la cicatrizzazione e la guarigione delle ferite
_ Biostimola la produzione dicollagene.
Campi di applicazione del PRP
come si prepara il PrP
Come si e’ visto le applicazioni del PRP sono molteplici in molti campi della medicina e della chirurgia e di conseguenza molti prodotti di questo tipo sono apparsi sul mercato negli ultimi anni ed appare molto difficile identificare le differenze tra i prodotti finali immessi sul mercato dalle varie aziende. Tuttavia molti prodotti diffferiscono sensibilmente in composizione e nel processo di elaborazione del preparato e di conseguenza possono determinare effetti diversi ed in qualche caso addirittura opposti (tab. 1).

 

 

Siamo d’accordo con altri autori che non tutti i preparati di PRP sono uguali e che per evitare fraintendimenti e’ assolutamente necessario definirne le proprieta’ , la formulazione ed ancor di piu’ accertarne la sicurezza biologica ed il potenziale riparativo. Inoltre e’ indispensabile definire un protocollo preciso che dia risultati riproducibili sia in medicina che in chirurgia. Per queste ragioni e’ assolutamente necessario che la comunita’ scientifica chiarisca definitivamente i vantaggi e gli eventuali rischi di questi tipi di prodotti. Partendo da queste premesse noi ci siamo affidati alla competenza ed alla serieta’ di una societa’ americana, la BIOMET Biologics, produttrice del sistema GPS III (Gravitational Platelet Separation) di cui andremo a descrivere le fasi di preparazione e di utilizzazione di questo kit preparato con meticolosita’ e la sicurezza di un’assoluta sterilita’. Si prepara una siringa da 60 cc per il prelievo del sangue del paziente, in cui si aspira 6 cc di anticoagulante ACDA (anticoagulante citrato destrosio) ed una siringa da 12 cc, per preparare la trombina autologa, in cui si aspira 1 cc di anticoagulante (fig. 9).

 

 

Si preleva, da una vena periferica, il sangue del paziente mescolandolo all’anticoagulante presente nelle due siringhe (fig. 10).

 

 

Nel tubo predisposto per la raccolta del PRP iniettiamo il contenuto della siringa da 60 cc e lo sigilliamo con il tappo sterile (fig. 11).

 

 

Poniamo il contenitore nella centrifuga ed iniziamo la centrifugazione a 3.200 giri per 15 minuti (fig. 12).

 

 

Intanto prendiamo il contenitore Clotalyst ed attraverso una porta iniettiamo il reagente con etanolo calcio (che attiva la trombina III e la concentra) e poi attraverso un’altra porta il contenuto della siringa da 12 cc (fig. 13).

 

 

Il contenitore viene invertito piu’ volte per permettere la distribuzione di palline di vetro, in esso contenute, che hanno un’azione co-coagulante ed infine si pone il contenitore in una incubatrice a 25 gradi per 20 minuti. Nel frattempo la prima centrifugazione e’ terminata e si estrae il contenitore GPS III che ha subito una separazione: i globuli rossi sono stratificati in basso, sotto il disco di separazione. Sopra il disco c’e’ il PPP (Plasma Povero di Piastrine) e nello strato intermedio, (tra G: R: e PPP), c’e’ il PRP che rappresenta il 10% del volume iniziale (fig. 14).

 

 

Dal contenitore incubato viene estratto il tubo con il sangue con la trombina attivata che viene posto in centrifuga per 5 minuti a 3.200 giri dopodiche’ si estrae il contenuto con una siringa. Su di un carrello vengono preparati tre bicchieri: in quello giallo si inietta il PPP, in quello rosso il PRP ed in quello bianco la trombina attivata (fig. 15).

 

 

Con un dispenser doppio a spruzzo si prelevano 0,6 cc di trombina attivata in una siringa e nell’altra si prelevano 6 cc di PRP, si pareggiano gli stantuffi e si inserisce il terminale (fig. 16).

 

 

Con un altro dispenser doppio si fa la stessa cosa prelevando pero’ 8 cc di PPP con una siringa e con l’altra 0,8 di trombina attivata (fig. 17).

 

 

A questo punto spruzziamo il PPP e la trombina sulla ferita operatoria gia’ avvicinata con qualche punto di sottocute. Si provvede poi alla sutura continua della cute e si spruzza sopra ancora il PPP e la trombina attivata per sigillarla ed ottenere anche un effetto antibatterico. Nel frattempo noi abbiamo gia’ effettuato 500 microincisioni dalla parte sinistra della zona da trapiantare dove inseriremo le UF (fig. 18),

 

 

bagnate con PRP e trombina, gia’ da qualche minuto (fig. 19).

 

 

Prima dell’inserzione spruzziamo PRP e trombina sul sito ricevente ed attendiamo due minuti prima di inserire i trapianti. Nel frattempo si preparera’ altro PRP e trombina per le UF che completeranno la prima parte del trapianto (fig. 20).

 

 

Dalla parte controlaterale faremo poi altre 500 microincisioni e prepareremo le altre UF senza addizionarle di PRP, procedendo a completare il trapianto. Cosi’ facendo, a distanza di alcuni mesi potremo valutare eventuali differenze sia quantitative che qualitative nella ricrescita dei capelli.
Perche’ il PRP nel trapianto di capelli?
Il potenziale uso del PRP, allo scopo di promuovere la guarigione e la ricrescita dei capelli in chirurgia della calvizie, nasce dalla necessita’ di cercare di migliorare i passaggi fondamentali di questo intervento, ossia:
_ Cercare di preservare e di aumentare la vitalita’† dei follicoli piliferi.
_ Promuovere e migliorare la riparazione dei tessuti e la guarigione degli stessi.
_ Riattivare i follicoli piliferi poco attivi e stimolare la crescita di nuovi capelli.
_ PRP nel trapianto di capelli.
I follicoli piliferi rimossi dall’area donatrice ed in seguito trapiantati nell’area ricevente possono subire dei danni:
_ da disidratazione de non sono mantenuti adeguatamente
idratati;
_ da privazione di ossigeno e di nutrienti dovuto alla mancanza di vascolarizzazione;
_ da cambiamento di temperatura di equilibrio acidobasico
nel contesto dei follicoli prelevati;
_ da insufficiente rivascolarizzazione quando i follicoli;
piliferi sono trapiantati nel sito ricevente dove devono;
riadattarsi ed avere una nuova rivascolarizzazione.
Per ovviare a questi inconvenienti bisogna fare in modo che la soluzione di immagazzinamento delle UF (Unita’ Follicolari) rappresenti un ambiente protetto sia per l’umidita’ che per la temperatura e l’equilibrio chimico con l’eventuale aggiunta di nutrienti. A questo proposito, in accordo con molti ricercatori, riteniamo che il PRP promuova la cicatrizzazione dell’area donatrice e che aggiungendolo alle UF e nell’area ricevente aumenti la velocita’ di guarigione e stimoli la rivascolarizzazione e di conseguenza una miglior ricrescita dei capelli. Tuttavia poiche’  l’uso del PRP nell’autotrapianto di capelli non e’ ancora supportato da un adeguato numero di casi trattati, riteniamo che sia razionale non usarlo in tutti i pazienti, ma preferibilmente in quelli a rischio di cattiva cicatrizzazione e/o di ricrescita inferiore alle aspettative. Inoltre pur essendo immunologicamente neutro e non ponga problemi di allergie, sensibilizzazioni o reazioni da corpo estraneo, il PRP deve essere rigorosamente sterile in ogni fase di preparazione e di applicazione pur producendo spesso un breve periodo di infiammazione, nelle zone in cui viene applicato. Altri possibili effetti collaterali, a tutt’oggi sconosciuti, andranno comunque verificati e precisati nel corso di ulteriori studi.
Terapia con PRP quale prevenzione dell’alopecia androgenetica
Seguendo gli studi e le sperimentazioni di J. Greco e R. Brandt anche noi, dopo aver utilizzato il PRP nell’autotrapianto di capelli con risultati per ora soddisfacenti ma non ancora consolidati, abbiamo avviato una sperimentazione su dieci pazienti affetti da alopecia androgenetica e su due pazienti con alopecia areata consolidata da oltre tre anni. Lo scopo di questa sperimentazione e’ quello di cercare di invertire il processo di miniaturizzazione dei capelli che interviene nell’alopecia androgenetica e di stimolare la ricrescita di capelli nelle zone di alopecia areata stabilizzata. Naturalmente essendo lo studio iniziato solo da alcuni mesi (sei mesi) non abbiamo potuto ancora standardizzare i risultati che per ora abbiamo avuto solo nel caso di PRP utilizzato nel corso di autotrapianto dove abbiamo notato una ricrescita piu’ rapida e soddisfacente nella parte trattata con il plasma ricco di piastrine. Il razionale si questo studio su pazienti non sottoposti ad intervento chirurgico nasce dall’ipotesi che i numerosi fattori di crescita attivati con la tecnica del PRP abbia anche il significato di rinvigorire i capelli miniaturizzati e nel contempo possa stimolare i follicoli piliferi a produrre nuovi capelli. Poiche’non ci sentiamo ancora pronti a fornire risposte in merito ci limiteremo ad indicare la tecnica che utilizziamo in questi casi, nella speranza che altri colleghi intraprendano la strada tracciata dai colleghi americani e da noi seguita con entusiasmo. Premettiamo che occorre avvisare ed informare correttamente i pazienti del fatto che si tratta di una sperimentazione che e’ resa possibile solo dalla innocuita’† del preparato autologo e che le aspettative devono essere commisurate all’attuale scarsita’† di studi pubblicati a questo proposito. Inoltre i pazienti devono appartenere ad un gruppo omogeneo per eta’† e per situazione clinica in modo da poter confrontare soggetti biologicamente simili. Il prelievo e la preparazione del PRP seguono le stesse regole usate per i soggetti sottoposti ad autotrapianto, ma l’applicazione del preparato segue uno schema di altro tipo. Suggeriamo di iniettare nel cuoio capelluto circa 0,3 cc per zone di 2×2 cm, utilizzando in media circa 4 cc di PRP in totale, con tecnica retrograda dal profondo verso la superficie.

 

 

Inoltre utilizziamo in sequenza uno strumento multiago, tipo dermaroller (fig. 21), ad una profondita’ di circa 2 mm, provocando un’area dolcemente traumatizzata su cui andremo a spruzzare il PRP residuo che non deve essere asportato ne’ lavato per l’intera notte successiva. La conta dei capelli ed il diametro iniziale e’ stato eseguito con apparecchiatura Fotofinder ed i dati di ciascun paziente archiviati in modo da poterli confrontare a distanza di 4-6-8 mesi e poi a distanza di ulteriori 4 mesi, in modo da completare un anno di osservazione. Malgrado che gia’† a 4 mesi dal trattamento abbiamo potuto osservare un certo miglioramento della situazione iniziale crediamo che sia opportuno dimostrare una prudente moderazione nel riferire opinioni quando i dati non siano ancora certi.
Regolamentazione per l’uso del PRP
Negli USA ci risulta che l’uso del PRP nell’ambito di un intervento di chirurgia della calvizie non necessiti di approvazione da parte dell’FDA. I medical devices per preparare il PRP devono essere approvati dall’FDA. Tuttavia l’FDA non ha approvato il PRP come cura specifica e pertanto le affermazioni che il PRP e’ “FDA approved” sono scorrette. In Italia i preparati di PRP devono essere approvati con il marchio CE dalla Comunita’† Europea. Tuttavia la preparazione e la manipolazione dei derivati del sangue soggiacciono a regole ben precise. L’uso del PRP nell’autotrapianto non e’ vietato ma la sua preparazione deve essere fatta da un centro trasfusionale.

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