Terapia chirurgica delle alopecie
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Terapia chirurgica delle alopecie

TERAPIA CHIRURGICA DELLE ALOPECIE
Dott.Andrea Marliani
Firenze

Nella calvizie instaurata, non esiste a tutt’oggi, alcuna terapia medica che, per quanto raffinata, non potrà modificare una zona priva di capelli. Solo con la ridistribuzione dei capelli presenti, attuabile con tecniche chirurgiche, si può porre un qualche rimedio ad una calvizie già presente.
Le tecniche attualmente in uso sono tuttora essenzialmente tre, pur con successivi perfezionamenti: la detonsurazione, il così detto “trapianto ad isole” o tecnica di Orentreich, la “rotazione dei lembi” o tecnica di Juri. A queste, ormai classiche, tecniche chirurgiche, si è più recentemente affiancata una tecnica parachirurgica di “impianto di capelli artificiali” secondo il metodo Yamada e sue varianti.
Rileviamo subito che queste diverse metodiche, non sono sempre alternative ma piuttosto complementari l’una all’altra, poiché è con l’abbinamento di due o più tecniche che si possono ottenere risultati buoni o accettabili, anche se, a nostro avviso, spesso imperfetti.

Detonsurazione (riduzione del cuoio capelluto – scalp reduction – scalp lifting – galeoplastica)

In chiurgia tricologica è la tecnica più semplice ed intuitiva. Consiste nell’asportare chirurgicamente una “losanga” di cuoio capelluto alopecico e suturarne poi i lembi. Scopo dell’intervento è ridurre l’area calva e, una volta che questa è stata ridimensionata, finire il lavoro con un autotrapianto. Prima dell’intervento occorre valutare empiricamente con i polpastrelli delle dita l’elasticità del cuoio capelluto per evitare di trovarsi poi, una volta eseguito l’intervento, nell’impossibilità di chiudere la breccia operatoria. L’intervento viene comunemente effettuato in anestesia locale e, se necessario, può essere ripetuto una o due o più volte (sempre con qualche mese di intervallo). E’ comune, dopo l’intervento, l’edema e la cefalea che normalmente scompaiono in qualche giorno. Recentemente, al posto del classico bendaggio a turbante(24 ore), è stato utilizzato un film plastico protettivo spruzzato direttamente sul cuoio capelluto. Il lavaggio della testa è in genere consentito dopo 3-4 giorni.
Una variante tecnica prevede l’uso di “espansori cutanei”. Si tratta, in pratica, di “palloncini” di materiale biocompatibile che, alcuni mesi prima dell’intervento, vengono introdotti nel tessuto sottocutaneo in vicinanza dell’area da “detonsurare” ed attraverso una valvola monidirezionale con una comune siringa, vengono progressivamente riempiti con soluzione fisiologica in modo da creare un volume ed espandere la cute soprastante. In questo modo, al momento dell’intervento, sarà disponibile un lembo di tessuto (provvisto di capelli!) da poter utilizzare per coprire l’area calva. Ovviamente, portare per mesi queste protuberanze sulla testa in attesa dell’intervento, è fonte di problemi estetici e relazionali non indifferenti.
Recente è l’uso di un “estensore sottocutaneo” (extender), una sorta di tirante, che ha minimizzato gran parte dei disagi degli espansori classici. Si tratta di uno strumento dello spessore di 0,5 mm, in silicone elastico, con alle estremità degli uncini di titanio che si inseriscono nella galea, la sua lunghezza può essere diversa in relazione alla dimensione della zona da ridurre. In corrispondenza della zona glabra, di solito il vertice, viene praticata una incisione ellittica che permette di inserire l’estensore, ancorato ed in tensione, mediante gli uncini, alla galea capitis, poi la ferita viene suturata con filo trasparente e sottile, praticamente invisibile. L’estensore è percepibile solo al tatto ma praticamente non è visibile e permette una ottima vita di relazione evitando l’inconveniente più grave degli espansori. Dopo circa un mese la tensione dell’estensore ha notevolmente ridotto la zona calva avvicinado i margini di cute “espansa” e coperta di capelli. Il chirurgo toglie l’estensone, viene rimossa la cute calva ed i bordi riassestati e suturati definitivamente. I risultati migliori si ottengono su una superficie che potremmo definire di media calvizie, quella le cui dimensioni vanno da 10 a 13 cm di diametro.

Trapianto ad isole (tecnica di Orentreich – innesti a zolle – trapianto di punch grafts)

Nella sua tecnica originale, così come fu descritta da Orentreich e poi perfezionata, è il famoso intervento di “auto trapianto” nel quale, in anestesia locale, dalle aree in cui sono ancora presenti capelli (regione occipitale) vengono prelevate delle isole, o zolle, di cuoio capelluto mediante un bisturi circolare (punch) di 4 mm. Le isole vengono poi sistemate in appositi “pozzetti” scavati, nella zona calva, mediante un bisturi circolare più piccolo, di 3 mm, in modo che, malgrado la retrazione elastica del tessuto, il frammento occupi lo spazio per intero (in caso contrario gli spazi rimasti liberi verrebbero occupati da sangue e tessuto di cicatrizzazione). Di particolare importanza è l’angolo di incidenza del bisturi che, se non corretto (il capello è inclinato rispetto al piano cutaneo e non verticale), porterà al taglio della radice di alcuni capelli e quindi alla loro definitiva perdita.
In genere si fanno 3-4 arcate di innesti ad U. Nella prima seduta gli innesti devono essere distanziati di almeno 4 mm in modo da lasciare spazio per il secondo trapianto. Ogni zolla di 4 mm contiene da 17 a 25 capelli. Per riempire eventuali piccoli spazi rimasti liberi si possono usare le minizolle (2-3-4 capelli) e le microzolle (da tre ad un solo capello). In ogni seduta operatoria è consigliabile non superare il numero massimo di 100 innesti (solitamente si arriva a 50-60) e quindi il numero totale di capelli sarà di circa 1500. I capelli delle isole trapiantate, dopo lo stress operatorio e privi per un breve periodo di sostegno nutritivo, cadono entro il 1° mese. Poi, se l’intervento è stato effettuato correttamente, la papilla viene rivascolarizzata e consente alla matrice di riprendere la sua attività: entro i 3 mesi successivi compariranno i nuovi, e stabili, capelli. Dal momento che i capelli della regione occipitale, da cui sono state prelevate le isole, non sono sensibili ai “meccanismi” della calvizie e conservano questa caratteristica anche dopo essere stati trapiantati non c’è il rischio di vederli cadere in un periodo successivo. Condizioni preliminari indispensabili per questo intervento sono:
a) che la calvizie sia stabilizzata, in caso contrario esiste la possibilità di trapiantare capelli già destinati a perdersi);
b) che, conseguentemente, l’età non sia troppo bassa (d solito almeno 30 anni);
c) che i capelli presenti in sede occipitale siano abbastanza folti, di buona qualità (alta percentuale di anagen al tricogramma) e che formino una “banda” alta non meno di 8 cm.
Dopo l’intervento viene lasciato un bendaggio per 24 ore. Il lavaggio è in genere consentito dopo 7 giorni. Se necessario, un secondo intervento sarà effettuato non prima di 6 settimane, un terzo dopo 3-4 mesi dal secondo e un quarto dopo 3-4 mesi dal terzo.
Successivamente questa tecnica è stata migliorata. Per evitare di lasciare una serie di cicatrici “a scacchiera” nella zona di prelievo viene seguita la tecnica di Nordström che prevede di prelevare tutte le zolle da una losanga di cuoio capelluto (della regione occipitale) che sarà poi suturata. In questo modo residua una cicatrice lineare poco visibile che viene coperta con facilità dai capelli rimasti. Talvolta, per evitare piccole ma fastidiose emorragie, i pozzetti riceventi vengono preparati utilizzando un “emostato frontale”, un lungo nastro metallico flessibile fornito di una cavità pneumatica sulla faccia concava, che viene gonfiata, con una pompa manometro, un poco al di sotto della pressione arteriosa del paziente. Il prelievo delle zolle nell’area occipitale viene invece effettuato con l’emostato occipitale, riquadro metallico (sulla cui superficie concava è anche qui presente la pompa manometro) fornito di una finestra rettangolare attraverso la quale l’operatore fa il prelievo. La tecnica dà buoni risultati se la zona da coprire è relativamente piccola, se fra ogni macroisola vengono innestate mini e microisole, se la linea naturale di inserzione e la naturale angolatura dei capelli vengono rispettate. Un inconveniente in passato assai comune era quello dell’aspetto di “doll-lock” (capelli a bambola): una serie di macroisole innestate in file regolari e precise, come i capelli cuciti di una bambola, non pettinabili, radi e assolutamente innaturali”.
L’autotrapianto praticato oggi è eseguito con una tecnica decisamene più avanzata ed anche più semplice; ideale inoltre per completare quanto fatto, mesi prima, con la detonsurazione o galeoplastica che abbiamo già descritto. Con un bisturi, ad una due o tre lame, si preleva la solita striscia di cuoio capelluto, dalla regione occipitale. La breccia operatoria verrà poi suturata accuratamente. La striscia di cute verrà sezionata per ricavarne centinaia di microisole, “micrograft”, di uno, due o tre capelli, che si ricollocano nella zona ricevente, dove mancano, con la tecnica del “punch-graf” (letteralmente: perfora e innesta). Le microisole, che in questo caso potremmo anche definire semplicemente follicoli, vengono inserite seguendo una logica di progressiva copertura della zona calva. Il chirurgo pone la massima attenzione a seguire il disegno naturale dell’inserzione frontale e quindi partendo da questa fino ad coprire tutta la regione alopecica ed è ovviamente essenziale seguire l’angolo di crescita naturale dei capelli. In un seduta si possono innestare 500 e più micrograft. Le tecniche più recenti, grazie all’impiego di un adesivo cianoacrilico che viene lasciato cadere in microgocce su ogni innesto o spruzzato con una bomboletta nella zona ricevente, non prevedono il classico bendaggio a turbante. L’adesivo viene spontaneamente eliminato insieme alle crosticine delle piccole ferite, come una forfora, dopo pochi giorni. Si evita così quell’inestetismo conosciuto come “effetto cobblestonig” (effetto di acciottolato) che è la conseguenza dei bendaggi spesso utilizzati per tenere stabili gli innesti. Normalmente, ad intervento è finito, il paziente può riprendere subito le sue normali attività. Tra una seduta e l’altra deve passare almeno quattro mesi. Con questa tecnica, con un pò di pazienza ed in pazienti motivati, l’effetto estetico finale è decisamente naturale.

Rotazione dei lembi (tecnica di Juri)

Questa tecnica, per i buoni risultati che si ottengono con la detonsurazione seguita da microinnesti, per la sua intriseca difficoltà operatoria e per i suoi inconvenienti è sempre meno praticata.
La tecnica del lembo (o dei lembi) rotante, messa a punto da Juri, consiste nell’autonomizzare, in anestesia locale ed, solitamente, in due sedute operatorie ambulatoriali distanziate di circa 15 giorni, un lembo di cute nella regione latero posteriore del cuoio capelluto. Si tratta di un lembo centrato sull’arteria temporale superficiale, lungo 20-25 cm, largo 3,5-4 cm. La sua forma deve essere attentamente valutata e calcolata sì da permettere una facile rotazione.
Ottenuto il lembo rotante questo deve essere sistemato con l’arteria temporale sulla regione frontale. In anestesia generale. Per fare questo il lembo viene completamente autonomizzato sul peduncolo anteriore e girato fino a raggiungere la zona frontale dove, precedentemente, è stata tolta una “striscia” glabra di epidermide (profondità 1-2 mm) in modo da fornirgli adeguato alloggio e così ricostruire (più o meno) l’attaccatura frontale.
Segue sutura, bendaggio non compressivo e drenaggio aspirante (per togliere eventuali raccolte di liquido). La rimozione del bendaggio viene fatta normalmente dopo 24 ore dall’intervento e la rimozione dei punti dopo 10-15 giorni.
Questa tecnica chirurgica può essere eseguita su entrambi i lati (sia da destra che da sinistra) e può essere associata al trapianto ad isole per coprire il vertice.
Lo scollamento della regione retro auricolare, con lifting esteso al collo, permette una sutura della zona donatrice senza tensione.
:I problemii di questo tipo di intervento sono:
– quelli, teorici, connessi all’anestesia generale,
– l’edema e l’ematoma della fronte, comune ma non grave,
– la temibile necrosi (fino ed oltre 2 cm) dell’estremità distale del lembo ruotato che in genere dipende dalla sua eccessiva lunghezza e dal conseguente scarso apporto vascolare: il danno estetico è, in questo caso, mal riparabile.
Questa ultimo rischio può essere evitato con la variante tecnica di Faivre-Rabineau che prevede l’impiego di due lembi temporali, ovviamente più corti, che si congiungono sulla linea mediana (lunghezza 10-12 cm e larghezza 2-2,5 cm).
Usando la tecnica di rotazione dei lembi si ha il vantaggio di una immediata alta densità di capelli (difficile ad ottenersi con gli innesti) e lo svantaggio di un risultato estetico non sempre perfetto.
L’attaccatura frontale dei capelli spesso assume facilmente un aspetto innaturale ;
Infatti se la lunghezza del lembo non è sufficiente, per farlo arrivare dalla parte opposta, è necessario disporlo in maniera quasi orizzontale determinando una linea frontale del tutto “innaturale”, cioè priva della “stempiatura” maschile (il paziente assomiglia un pò alla “creatura” del barone di Frankestein); quando la tecnica è eseguita su entrambi i lati i due lembi presentano una direzione dei capelli l’uno nel senso contrario all’altro (come riferito nel capitolo dell’anatomia, il capello è inclinato di 75° rispetto al piano cutaneo), contribuendo a dare immediatamente un’ impressione di innaturalità a tutto il cuoio capelluto e rendono pertanto assai arduo qualsiasi tentativo di pettinatura.
Come per gli innesti poi anche questo tipo di intervento è sconsigliabile se la calvizie è troppo avanzata a causa della mancanza del “tessuto” necessario.

Impianto di capelli artificiali (metodo Yamada)

L’impianto di capelli artificiali nel cuoio capelluto è una procedura para chirurgica utilizzata per mascherare una calvizie. Tale metodica si diffuse rapidamente dall’America e dal Giappone verso l’Europa approdando in Italia all’inizio degli anni 80.
I “capelli artificiali”, nella loro concezione originale (secondo Yamada), sono di poliestere colorati con pigmenti inorganici che danno loro un aspetto naturale. Fino a pochi anni fa arrivavano direttamente dal Giappone in contenitori sterili, oggi vengono prodotti un pò ovunque. La loro lunghezza originale era di 16 cm. Ad una estremità presentano una specie di cappio. Mediante un apposito strumento questi capelli vengono afferrati da un ago sottile e “sparati”, anche senza necessità di anestesia, nel cuoio capelluto ad una profondità di 8-15 mm, cioè sempre sopra la “galea capitis” (fascia connettivale semi-rigida che si estende sopra e a protezione del cranio). Il “cappio”, in basso al capello, funziona da sistema di ancoraggio quando intorno ad esso si forma tessuto cicatriziale. Durante ogni seduta possono essere impiantate anche senza anestesia alcune centinaia di questi capelli, di solito fino a 500. Il tessuto cicatriziale che si forma intorno al cappio fissa l’estremità del capello che rimane ancorato al sottocutaneo con una certa stabilità. Tra capello impiantato e cute avviene inoltre un processo di epitelizzazione, o meglio di marsupializzazione, che finisce per formare una specie di pseudofollicolo, sola barriera che dovrebbe impedire a germi di invadere il derma. Il capello artificiale, nonostante l’ancoraggio, va comunque incontro, come ogni corpo estraneo, ad un processo di superficializzazione che finisce con la sua espulsione; una perdita di tali capelli artificiali considerata media e normale oscilla fra il 10 e il 30% all’anno. Occorrono pertanto interventi periodici di rinfoltimento che compensino le perdite. Della tecnica originale di Yamada sono state proposte numerose varianti ma tutte senza reali vantaggi: differiscono fra di loro per il tipo di materiale con cui il capello è realizzato, per il metodo di colorazione più o meno superficiale della fibra, per il tipo di cappio che dovrebbe fermarlo alla galea, per la forma dell’ago infissore ma sopratutto per la provenienza del kit chirurgico. Una delle tecniche più originali prevede l’impianto di capelli a “V”, che vengono inseriti con uno strumento ad ago retrattile, dotato di 2 punte, che aggancia il capello in corrispondenza del vertice della V e lo rilascia ad una profondità di 8 mm. Dato che così ad ogni impianto corrispondono 2 capelli e che il metodo di inserimento è velocissimo, si arriva fino a 800 capelli all’ora. Il risultato estetico immediato, specie nei casi di aree alopeciche limitate con assenza di tessuto cicatriziale e se la quantità di capelli inseriti non è troppo grande (2000-5000 capelli), è abbastanza buono ed anche la tolleranza del materiale artificiale da parte della cute è anch’essa, all’inizio, apparentemente buona. I risultati sono poi nel tempo, come vedremo, molto inferiori alle aspettative.
Per un buon esito di questa tecnica occorre che venga rispettato un preciso protocollo le cui regole fondamentali sono:
implantologo deve essere qualificato, specialista in dermatologia con esperienza di dermochirurgia,
la fibra del capello artificiale deve essere un polimero medical-grade, già registrato nella farmacopea europea ed impiegato come filo da sutura. I pigmenti utilizzati nella fibra devono essere di origine naturale ed inglobati nel polimero ancora allo stato liquido perché non possa avenirne migrazione nel derma,
il sistema di ancoraggio deve essere a nodo reversibile per consentire, se necessario, l’estrazione della fibra con danni cicatriziali minimi,
le fasi di attuazione dell’intervento di impianto debbono essere collegate fra loro in maniera organica e programata per ottenere il meglio che il metodo può offrire,
dopo il momento operatorio il paziente non sarà abbandonato ma verrà seguito adeguatamente nel tempo e da personale medico dermatologico adeguatamente preparato,
l’informazione del paziente sul pre e sul post operatorio deve essere corretta! L’informazione deve essere anche chiara e precisa su quanto il metodo di impianto può dare e su quali sono i sui difetti connaturati ed i suoi limiti e costi.

L’inconveniente più evidente di questo metodo consiste nel fatto che viene espulso fino al 30% dei capelli impiantati ogni anno e poiché è previsto un periodico intervento di rinfoltimento che compensi le perdite, i costi si fanno assai elevati e il soggetto diventa “dipendente” dal “centro tricologico”. Inoltre ogni capello che viene espulso lascia una piccola zona di alopecia cicatriziale che piano piano finisce per trasformare l’alopecia androgenetica, in una alopecia cicatriziale.
Sono poi anche drammaticamente frequenti fenomeni di reazioni da corpo estraneo con formazione di tipici granulomi infiammatori e caratteristica è anche l’infezione della cute causata da basse cariche di batteri, spesso anche antibiotico resistenti.

Impianto di capelli naturali (“Tims”-Tecnica implantologica metodo Santi)

Si tratta in questo caso di capelli veri nei quali il bulbo originale viene sostituito con uno pseudobulbo artificiale, polimerico, a “treccia aperta”, che consentirà l’ancoraggio alla cute; dopo la sterilizzazione, con metodo simile a quello dei capelli artificiali, i capelli vengono inseriti nel cuoio capelluto con la “pistola implantologica”, in direzione obliqua, 30-35°, ad una profondità di 5 – 8 mm). Ad un test preliminare di valutazione, effettuato con 100-150 capelli, segue, in genere dopo 2 mesi, l’impianto vero e proprio (300-350 capelli per seduta, sempre ad un costo calcolato “a capello” e assai alto). Il risultato estetico della metodica è migliore di quanto ottenibile con i capelli artificiali e la percentuale di perdita annua sarebbe inferiore. Qualunque sia il risultato estetico dell’impianto di capelli occorre poi sempre considerare non solo il problema della loro “perdita” annua ma anche quello della loro conservazione. Il deterioramento dei capelli naturali sarà infatti tanto più veloce quanto più vengono trattati: shampoo, pettinature, asciugature, acqua clorata, cappelli, caschi, per non parlare di colorazioni e decolorazioni ne compromettono rapidamente la qualità e l’aspetto. In definitiva il risultato estetico iniziale (magari buono) verrà perduto più o meno rapidamente. Inoltre anche il capello naturale è comunque e ovviamente, un corpo estraneo, forse ancora meno biocompatibile di una fibra artificiale, pertanto anche questa metodica è soggetta a tutti gli stessi inconvenienti e a tutti i rischi del metodo Yamada.

Solo con parere dell’ 8 febbraio 1995, il Ministero della Sanità italiano, ha deliberato che l’innesto di capelli inorganici o naturali va considerato atto medico e va eseguito da laureati in medicina e chirurgia ablitati all’esercizio della professione e che i centri ove l’attività viene eseguita devono essere considrati ambulatori ai sensi dell’art. 193 Testo Unico LL SS e successive modifiche.

Altre metodiche sperimentali

L’impianto di cellule staminali autologhe, prelevate dal bulge, coltivate e successivamente innestate a livello del derma papillare appare come una metodica teoricamente e tecnicamente possibile ma ancora allo stadio iniziale di ricerca e neppure in fase sperimentale.
Non è pertanto possibile, a tuttoggi, darne alcuna valutazione.ed è da considerare, per ora, solo una idea interessante

Valutazioni generali

a) tutte le metodiche chirurgiche, se prese singolarmente, possono essere impiegate solo in individui che abbiano una calvizie relativamente non troppo estesa (se un soggetto ha perso ad esempio 50.000 capelli è ovvio che la superficie non potrà essere correttamente coperta con 200-300 innesti da 25 capelli l’uno o con 3-4000 capelli di sintesi) e, a parte quello di detonsurazione, solo quando questa si è stabilizzata. Nei casi di calvizie troppo estesa non esiste attualmente alcuna possibilità chirurgica che dia buone possibilità di riuscita;
b) risultati migliori si ottengono utilizzando in sequenza le varie metodiche: dopo un primo intervento di detonsurazione si potrà, ad esempio, procedere ad impianto di innesti e/o ad una rotazione di lembi. In questo caso tuttavia i costi ed i tempi non potranno essere indifferenti;
c) l’intervento dovrà sempre essere effettuato in luogo attrezzato e da personale medico competente;
d) l’impianto di capelli artificiali negli U.S.A. è vietato per disposizione della FDA dal 1989 (Food and Drug Administration: organo di vigilanza su alimenti e farmaci degli Stati Uniti).

Conclusioni

Anche se siamo convinti che in mano di un operatore capace ed esperto le tecniche chirurgiche, applicate singolarmente o combinate fra loro, possano dare risultati buoni ed a volte anche ottimi ed anche se pensiamo che i risultati estetici saranno sempre migliori per il continuo progredire delle tecniche e degli strumenti, riteniamo però che non saranno mai del tutto soddisfacenti a risolvere il problema calvizie per la “gente comune”.
Quando si vogliano conseguire risultati esteticamente buoni il costo economico della chirurgia tricologica risulta sempre troppo elevato per le possibilità economiche dei più e una persona “comune” finisce spesso con l’accontentarsi di un qualcosa di mediocre e, tutto sommato, inutile. Inoltre i tempi di esecuzione possono, in taluni casi, essere lunghi ed il lavoro chirurgico può impegnare per anni l’operatore ed il paziente prima di ottenere il risultato finale desiderato.
Personalmente non riusciamo poi a comprendere come esseri umani e “pensanti” possano sottoporsi a trattamenti, lunghi, talvolta rischiosi, dolorosi, nel complesso poco soddisfacenti ed in fondo di utilità pratica assai dubbia.
Vogliamo ricordare l’attore Yul Brynner, che rasandosi bisettimanalmente il cranio, fece della calvizie la sua bandiera, non rinunciando così certo né a bellezza né a virilità.

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